News

Appunti per l’incontro di polivisione del 7 luglio 2017

Ora questo bravo bambino aveva l’abitudine — che talvolta disturbava le persone che lo circondavano di scaraventare lontano da sé in un angolo della stanza, sotto un letto o altrove, tutti i piccoli oggetti di cui riusciva a impadronirsi, tal ché cercare i suoi giocattoli e raccoglierli era talvolta un’impresa tutt’altro che facile. Nel fare questo emetteva un “o-o-o” forte e prolungato, accompagnato da un’espressione di interesse e soddisfazione; secondo il giudizio della madre, con il quale concordo, questo suono non era un’interiezione, ma significava “fort” [“via”]. Finalmente mi accorsi che questo era un giuoco, e che il bambino usava tutti i suoi giocattoli solo per giocare a “gettarli via”. (1)

Il testo di Sigmund Freud è stato presente durante tutta la sessione di lavoro del 23 maggio 2017 che segue quella già commentata del 28 aprile 2017 (2) . L’incontro di aprile si era svolto utilizzando le conoscenze e i modelli interpretativi della neuropsichiatria infantile, in un setting seminariale, centrato sulla fondazione di un gruppo di bambini e bambine con diagnosi di autismo ad alto funzionamento. (3).
Durante quel incontro era emersa la necessità di presentificare il gioco dei bambini affinché gli adulti ne sentissero gli aspetti creativi e quelli involutivi acora nascosti sotto il potere della rimozione.
Era apparso anche evidente che da quel gioco gli adulti sono esclusi per necessità, come nonno Freud che si fa osservatore partecipante ma astinente al “gioco” del nipote. Con la scrittura e la teorizzazione Freud si appropria del “gioco” osservato e lo trasforma nella psicoanalisi, indirizzando così il desiderio infantile di ricongiungimento con il corpo materno verso un orizzonte creativo.
Gli educatori, gli psicoterapeuti, gli educatori, i neuropsichiatri, i terapisti della neuro e psicomotricità, le insegnanti che il 23 maggio 2017 si sono incontrati nello studio Nuovi Percorsi di via Borelli 5 a Roma, sapevano che avrebbero ripercorso un tratto di strada che ciascuno aveva già percorso, sia nell’esperienza della sessione precedente, sia attraverso la propria e originale esperienza di separazione dal corpo materno, di cui ciascuno è originale testimone. Al fine di offrire opportunità espressive alla ricchezza simbolica che il lavoro in setting seminariale aveva suscitato, abbiamo ritenuto necessario quindi riunirci in un piccolo gruppo, secondo le regole del dispositivo dello psicodramma analitico, disposti a mettere in gioco la clinica del desiderio.
Mentre la dott.ssa Martina Balbo, psicoterapeuta, narrava alcune scene del gruppo di bambini e bambine che condivide con le professioniste del centro, scene che in parte avevamo già ascoltato, le parole assumevano altri colori, anzi hanno preso la dimensione della luce e del buio, antitesi che permettono la vita. Il silenzio fa da contenitore alla narrazione di Martina che si riempie di buio e della luce che lo interrompe, come di un buio che combatte la distinzione portata dalla luce stessa.
La fusione e la differenziazione è garantita da due logoterapiste, garanti della relazione di cura che, secondo il racconto di Martina, non sono sufficienti. Così proprio in lei, attraverso la sua presenza astinente, si palesa il terzo garante dell’alternanza del buio con la luce. 
Martina si rappresenta, e viene anche rappresentata, nel gioco psicodrammatico, come garante che il gioco fusionale, di incontro e scontro di corpi nel buio, abbia un limite.
Il limite permette l’andata e il ritorno, dalla non vita alla vita del gruppo di adulti e bambini e bambine. Nel gioco garantito dall’animatore del gruppo di psicodramma si sperimenta l’assenza del taglio, della vista, quando il buio rende l’uno e l’altro non distinguibili, come la frustrazione della luce che fende il buio, rendendo l’altro irraggiungibile in quanto distinto.
Il meccanismo teatrale è semplice: si accendono e spengono le luci della stanza e ci si protegge per il viaggio con un telo, sotto il quale l’altro non è più separato, in quanto il telo placenta riporta nell’unione con il materno. Nella rappresentazione degli adulti gli oggetti erano simbolici.

Scrive il dott. Giuseppe Preziosi nella sua osservazione della sessione: “Martina spegne per avviare il gioco, E., viene scelta per la sua tristezza, F. per Fabrizio il principe, grazie all’iniziale, S. è Alberto scricciolino, D. per Marco il più alto, F. sta per per Ilaria sorridente, E. per Vittoria.”
E’ necessaria l’opera di un intero gruppo di adulti per far emergere il lavoro individuale del gruppo di bambini, così come è necessario che ciascun bambino o bambina abbia un aggettivo che lo caratterizzi, quando Martina chiama l’altro a prendere il posto immaginario del bambino. Martina è la responsabile del gruppo e sta a lei accendere una luce o spengerla sul gruppo, che in questo momento è il gruppo della polivisione. A garanzia di questo piccolo gruppo di professionisti stanno l’animatore, il dott. Nicola Basile, un osservatore, il dott. Alessandro Paris e un secondo osservatore, il dott. Giuseppe Preziosi. I tre stanno a garanzia che sia possibile l’andare e venire del gruppo dal buio alla luce e dalla luce al buio.
I bambini a turno accendono e spengono. Ilaria accende e spegne con maniacalità o eccessivo entusiasmo che rappresentano il costo del gruppo e del curante.”
Anche la polivisione ha un costo, economico, stabilito dalla moneta e dal tempo dell’incontro, sia affettivo, stabilito dal lasciare fuori della stanza la realtà per far spazio a brandelli di immaginario che fanno di quelle due ore una rappresentazione della vita.

E’ in gioco il punto cieco, il buio. Riconoscersi nel contatto dei corpi, attraverso il velo/telo, che indossiamo come vestito/maschera” Coloro che sono stati chiamati a giocare fanno luce e buio dentro loro stessi, ridono e piangono, si nascondono e si mostrano, tra movimenti dai ritmi mai eguali, rappresentanti di un’impossibile riunificazione tra l’infans e l’utero paradisiaco. Il bambino è preso in carico dall’adulto, dal professionista che viene autorizzato a “prendere con sé il bambino, solo nell’universo, rivolto ora verso il basso ora verso l’alto, due mondi che non si mescolano ma che richiedono cognizione e pulsione.”

Scrive Sigmund Freud:
Questo era dunque il giuoco completo — sparizione e riapparizione — del quale era dato assistere di norma solo al primo atto, ripetuto instancabilmente come giuoco a sé stante, anche se il piacere maggiore era legato indubbiamente al secondo atto. L’interpretazione del giuoco divenne dunque ovvia.
Era in rapporto con il grande risultato di civiltà raggiunto dal bambino, e cioè con la rinuncia pulsionale (rinuncia al soddisfacimento pulsionale) che consisteva nel permettere senza proteste che la madre se ne andasse. Il bambino si risarciva, per così dire, di questa rinuncia, inscenando l’atto stesso dello scomparire e del riapparire avvalendosi degli oggetti che riusciva a raggiungere.” (3)

Giuseppe Preziosi ha raccolto per noi le seguenti domande:
Guadagno del gruppo: economia del gioco? Economia del soldo?” L’economia ha le sue leggi, leggi che rispondono a un profitto scisso dall’uomo, leggi che vanno modificate affinché l’opera dell’uomo non distrugga il suo stesso pianeta. E’ la problematica posta a chi, come Martina e il suo centro, viene richiesto un ritorno, anche economico, anche in termini di quantità di soldo utilizzato, del lavoro del gruppo di bambini con le professioniste a cui sono stati consegnati. Il costo della terapia, il tempo che vi si dedica, divengono elementi dell’elaborazione del limite che permette al bambino di trasformare in parola l’assenza l’assenza della madre attraverso il gioco. La rappresentazione psicodrammatica restituisce il colore della relazione che comunque lo annoda con l’altro o lo tormenta in quanto il nodo si slega continuamente al lavoro individuale del bambino autistico con la propria terapista.

Incontrare il limite di se stessi nell’altro che sta proprio nell’acceso/spento, nell’inizio/fine, nell”assenza/presenza, porta a essere capaci di sentire la mancanza del corpo materno.
ll gioco pone la domanda che non c’è un fine ma c’è una fine per la quale ci vuole uno in più che dia la regola del gioco, gioco che dà la regole per il linguaggio”(4)
Il piccolo gruppo di psicodramma che si presta alla ripetizione di una scena è lì a testimoniare che esiste una via per dare parola, simbolo al legame che si stabilisce tra i bambini e coloro che hanno la responsabilità della conduzione della cura. Al contempo rende attivi i bambini stessi che capovolgono il ruolo di essere usufruitori della cura dell’adulto. I bambini e le bambine del gruppo possono accendere e spegnere la luce, indossare la maschera che conduce il soggetto a definire se stesso differente da tutte le altre maschere, purché un estraneo lo autorizzi.
L’osservazione di G. Preziosi coglie questo passaggio con le seguenti parole:
”Se non c’è il uno in più, mancano le parole. Eccitazione trasformata in parola che diviene legame. Altrimenti resta un’eccitazione triste in cui ci finiscono dentro tutti i curanti. Vestito adulto. Gioco dell’accendere e spegnere la luce”

Scrive Sigmund Freud: “….si ha l’impressione che il bambino avesse trasformato questa esperienza in un giuoco per un altro motivo. All’inizio era stato passivo, aveva subito l’esperienza; ora invece, ripetendo l’esperienza, che pure era stata spiacevole, sotto forma di giuoco, il bambino assumeva una parte attiva. Questi sforzi potrebbero essere ricondotti a una pulsione di appropriazione che si rende indipendente dal fatto che il ricordo in sé sia piacevole o meno”(5)

Eleonora Di Stavolo (6), scrive alcune righe, qualche giorno dopo aver partecipato alla sessione in gruppo.
Rimedio” è il titolo, composto da un solo sostantivo, che assegna al suo scritto.
“L’alunna, la bambina, la persona che ci sta di fronte non ci risponde. O c’è silenzio… o urla. Come si fa a trovare un rimedio quando non ci sembrano essere via d’uscita?
Difficile è entrare in contatto con quella parte dell’altro che non comunica o non vuole comunicare ma che inevitabilmente parla. Il silenzio può essere la parola che manca o la parola dovuta.
Alla professione che sta sempre altrove rispetto al silenzio o alle urla, è assegnato il compito di garanzia che si possa andare e tornare in quanto è garantito il Ponte, rispettando i limiti e le potenzialità di ciascuna parte in gioco”

Concludo questo breve scritto con le parole di Sigmund Freud dando l’ultimo appuntamento prima della pausa estiva al 7 luglio alle ore 18,30.

In ogni caso da queste discussioni emerge il fatto che per spiegare il giuoco non è necessario supporre l’esistenza di una particolare pulsione imitativa. Per concludere,possiamo ancora ricordare che la rappresentazione e l’imitazione artistica degli adulti,a differenza di quelle dei bambini, sono indirizzate alla persona dello spettatore e, pur non risparmiandogli le impressioni piú dolorose — nella tragedia per esempio — possono tuttavia suscitare in lui un godimento elevatissimo. Ciò è una prova convincente del fatto che anche sotto il dominio del principio di piacere esistono mezzi e vie a sufficienza per trasformare ciò che in sé è spiacevole in qualcosa che può essere ricordato e psichicamente elaborato. Questi casi e situazioni che alla fin fine si concludono con l’ottenimento di un piacere potrebbero essere studiati da un’estetica orientata secondo il punto di vista economico; per i nostri scopi non servono, perché presuppongono l’esistenza e il dominio del principio di piacere, mentre non provano l’esistenza di tendenze che operano al di là del principio di piacere, tendenze cioè più originarie del principio di piacere e da esso indipendenti.(7)

Alla sessione in gruppo hanno partecipato oltre i professionisti nominati: Francesca Piccari TNPEE, Giacomo Brandi TNPEE, Sarah Salvatore psicologa psicoterapeuta, Francesca Freda neuropsichiatria età evolutiva, Erika Mobilio psicologa, Dario Massagatti psicologo psicoterapeuta.

                                                                                                                                   Nicola Basile

Note

  1. S. FREUD, Al di là del principio di piacere (1920), in Opere, a cura di C. L. Musatti, IX, Boringhieri; Torino 1974, pp. 200-203
  2. (https://www.nuovipercorsi.it/appunti-per-lincontro-di-polivisione-del-23-maggio-2017-alle-ore-1900/)
  3. Nicola Basile su sito https://www.nuovipercorsi.it “La fondazione la si deve a psicologhe, a terapiste della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE), logoterapiste che vedendo esaurirsi le opportunità offerte dalle terapie individuali, ben riuscite, va detto, ideano e realizzano uno spazio sociale e di cura per i loro assistiti.. Al termine di quella avevamo stabilito di dedicare un’intera sessione allo stesso contenuto con il dispositivo dello psicodramma affinchè emergessero i meccanismi pulsionali che avevano portato un gruppo di adulti a percorrere l’impervia strada della costituzione di un gruppo riabilitativo e terapeutico composto da bambini con diagnosi di autismo” https://www.nuovipercorsi.it/appunti-per-lincontro-di-polivisione-del-23-maggio-2017-alle-ore-1900/
  4. S. FREUD, (1920), in Opere, a cura di C. L. Musatti, IX, Boringhieri; Torino 1974, pp. 200-203
  5. idem
  6. Eleonora Di Stavolo, docente scuola primaria.
  7. S. FREUD, (1920), in Opere, a cura di C. L. Musatti, IX, Boringhieri; Torino 1974, pp. 200-203

Write a Comment