Categoria: Psicodramma Analitico

Riflessi di notte

“Intervenire o astenersi? Questo è il problema.”

elaborazione dell’esperienza di osservazione
seminario SIPsA on line di Polivisione
in setting di Psicodramma analitico
febbraio 2023
dott.ssa Stefania Falavolti

"Assenza di corpi”.

Si è partiti da qui nella seduta in assenza di corpi, ognuno chiuso nella propria finestrella. Facile assentarsi, dissimulare disagio o imbarazzo.
Fluttua una domanda: intervenire per aiutare, può significare una occupazione, quasi militare, dello spazio dell’altro, entrare nel suo territorio da nemico fingendosi amico; pensare di liberarlo e farlo stare bene per forza, dall’alto di chi sa cosa sia il suo bene?

"Fare finta di non vedere o non vedere davvero?"

All’opposto astenersi cosa può significare? Lasciare che l’altro si liberi, ne trovi le forze o tenersi fuori dalla relazione? Forse ritirarsi e trincerarsi nel proprio spazio sicuro, protetto da regole astratte, nell’illusione di proteggersi dal contagio. Fare finta di non vedere o non vedere davvero la carne lacerata ed il sangue di persone ferite, traumatizzate ed abbandonate, umiliate. Non tendere, non solo e non tanto una mano od un cibo, ma uno sguardo vero ed un ascolto attento che restituisca dignità di persona. Poter sopportare il dolore dell’altro scoprendo che non è poi così diverso dal nostro, di ieri e se non di oggi forse di domani, che anche la nostra carne sanguina, anche la nostra anima si lacera. Questa somiglianza consente di comunicare pur con linguaggi diversi. Anche astenersi allora può diventare qualcosa di ostile, se fatto per sentirsi superiori alle fragilità umane. Nessuna analisi, per quanto lunga ed accurata, potrà mai, per fortuna! Guarire tutti i mali e far scomparire tutti i buchi…Non esiste una soluzione certa e perfetta.

"Conservare la fiducia di poter risalire insieme"

Abbandonarsi un po' è lasciarsi cadere in una voragine oppure scendere, accompagnando l’altro negli Inferi, scoprirne i gironi, riconoscere volti e pene già noti, trovarne di inaspettati e terribili. Occorre conservare la fiducia di poter risalire insieme, provare a credere di poter volare come l’eterno bambino Peter ed i suoi amici che lui fa cospargere di polvere magica. Anche questo, però, rappresenta un rischio, quello di farsi catturare dalla fantasticheria di un mondo immaginario e restare prigionieri dell’Isola che non c’è. Tale pericolo può fare persino più paura del contagio del dolore e della morte.

“Colui che soffre è in perenne rivolta contro la realtà…"


Ad un grande baratro di fuoco si contrappone un empireo senza confini certi, in entrambi i casi ci si sente “sperduti”, bruciati o trasformati, direi fuori luogo. Il punto è che, come dice Ferenczi “colui che soffre è in perenne rivolta contro la realtà…è fuori di sé”[1] sempre più estraneo a sé stesso, ognuno perso in un proprio mondo infernale od estatico, dominato da leggi e linguaggi incomunicabili, più di quanto ciascuno di noi non lo sia già.

"Occorre una guida"

Per trovare la strada di casa e riuscire a ri-conoscersi spesso occorre una guida, almeno un poco più esperta, che abbia attraversato e superato lo stesso cammino e simili paure, ma sappia accettare di poter sbagliare e cadere di nuovo ma con la consapevolezza di sapersi, magari a fatica, rialzare. Guide e/o compagni di un viaggio difficile e pericoloso, questo il lavoro di un gruppo, soprattutto in presenza, corpi che incontrano altri viandanti, che possono riconoscersi fra naufraghi e fuggiaschi, anche se di vari colori e multipli idiomi. Ci si può guardare ed alzarsi dalla sedia, mettendo in comune il poco ed il molto che ogni essere umano reca con sé. Riuscire a scalare montagne e guardare negli abissi mantenendo i propri passi saldi sul sentiero, uno sguardo verso il cielo ed un altro alla meta lontana. Ritrovarsi alla fine, attraversato il mare in tempesta, intorno ad un fuoco che scalda ma non brucia, confrontando incubi e sogni, paure e speranze, rimpianti e progetti, scoprendo con stupore di essere riusciti a comunicarsi qualcosa.

Note:

[1] Sandor Ferenczi  “Diario Clinico” pag. 85-86, Raffaello Cortina ed., Milano 1988
[2] Fotografie di Nicola Basile

Contatti e informazioni

Il seminario del 25/03/2023, h 9,30-13,00, in presenza in via Nomentana 333/c è aperto a coloro che con noi desiderano interrogare attraverso il dispositivo dello Psicodramma analitico, i nodi che la relazione di cura pone alla società. Il seminario come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per per poter ricevere informazioni scrivere a Nicola Basile - nicolabasile.edu@gmail.com
nuovipercorsiviaborelli@gmail.com, indicando il proprio nome, professione, numero di telefono.
Riceverete una mail e messaggio WhatsApp di conferma.
Altrimenti inviare un messaggio WhatsApp a Nicola Basile - 3296322722

“Incespicare”

INCESPICARE

dalla polivisione del 24 /02/2023 alla polivisione del 25/03/2023
di Nicola Basile

 

 

Incipit

Come incipit della sessione aperta [2], Giuseppe Preziosi aveva rintracciato la richiesta di realizzazione della cura e il bisogno di poter toccare con un dito l’orizzonte dello stare bene, enunciati nel sacrosanto diritto di aspirare al guarire di chi soffre. In questi bisogni, diritti e desideri, Preziosi intravvedeva una logica commerciale che si esplicitava nella preghiera di tornare normali per essere riammessi da buoni consumatori, nella comunità da cui ci si sente esclusi.

 

Far di conto

Sappiamo che nella relazione di cura si deve fare i conti anche con il dare qualcosa in cambio, sofferenza contro benessere, pagare per ottenere qualcosa che non si sa dove andare a trovare, quando si rimane nell’etica in cui la vita umana è il primo valore da salvaguardare- Quando non c’è altro che passaggio di moneta per avere più moneta, come nelle truffe in cui si raggirano i deboli in nome di eventi millenaristici [3] si concretizza il rischio della speculazione economica. Il prendere cura di sé stessi tuttavia può scartare, interpreto così lo scritto di Preziosi, la questione del valore  nella nostra società, valore sempre alienato dal soggetto che ha perso la capacità produttiva e i mezzi per realizzarla se assieme al valore della vita umana si aggiunge quello della parola vera, quella che sfugge dal controllo, come nel sogno, nel lapsus, nelle metafore e metonimie interpretate dalle diverse forme artistiche.

Perdita di valore

Il valore si disperde, si volatilizza nei mercati azionari come nei sentimenti e nelle relazioni, se la parola diviene puro mezzo di propaganda politica, economica, ideologica, commerciale, rendendosi muta e inconoscibile. In effetti qualsiasi oggetto del nostro vivere quotidiano dopo un certo tempo perde il suo valore economico e con esso purtroppo il suo valore di uso, per andare nella direzione del rifiuto o dell’oggetto di antiquariato. Nel primo come nel secondo caso se non sappiamo come utilizzare la perdita delle caratteristiche di utilizzabilità di quell’oggetto, l’oggetto diverrà il problema di come smaltire qualcosa di inutilizzabile.

Il caso delle pile elettriche

È il caso delle semplici pile elettriche che una volta esaurito lo scambio di elettroni, divengono un dilemma per l’ecosistema, se qualcuno non le recupera e ne riutilizza i materiali. Le pile esaurite, quindi, vanno raccolte e non abbandonate come lo scarto dei nostri processi inconsci di pensiero che, se abbandonato e non riutilizzato, si fa materiale inquinante. Il desiderio può fare la stessa fine delle pile, inizialmente esso cerca degli spazi dove investire massivamente molte energie, lasciandone altri sprovvisti. La ricerca di amore può distrarre dall’affermazione negli studi come nel lavoro e viceversa creando disequilibri e spostamenti da una zona altra della vita emotiva e cognitiva dell’uomo, che andranno in seguito riequilibrati in un processo in cui tutto è continuamente mutevole ma che abbisogna di un equilibrio dinamico.[4]
Se l’equilibrio si fa statico, come nelle pile esauste, non c’è produzione di creatività ma una sorta di inutilità del desiderio stesso che lo fa sembrare irrecuperabile nonché superfluo, poiché viene sopraffatto dal bisogno di oggetti consumabili.

Vita sotto i rifiuti

Dal momento che il desiderio non può rassegnarsi all’inutilità, esso, pur di vivere, si nasconde sotto strati di rifiuti, difesa che anziché proteggerlo, lo immobilizza e alla lunga lo degrada. Il desiderio di vivere che vaga nei cassonetti delle nostre città, attrae coloro che vivevano di artigianato e migrazione fino a metà del ‘900, degradando abilità e tradizioni di una civiltà millenaria che sapeva ammaestrare i cavalli, riparare gli attrezzi agricoli, stagnare le pentole, creare musicalità struggenti che chiamiamo flamenco. E poiché nei cassonetti finisce il superfluo del superfluo, supermarket di ciò che per essere valorizzato richiede altro commercio, assistiamo a un’attribuzione di valore a una merce che chiamiamo rifiuti che rende rifiuti gli uomini e le donne che ne fanno merce.

Riutilizzo delle materie prime

Anche la parola, posta all’ascolto di qualcuno che non le chiede di rilucere ma la sottopone alla possibilità di non temere di essere catturata e esposta al commercio che l’ha svalutata, può accedere al riutilizzo delle sue materie prime, che nel caso dell’uomo e non delle pile, sono le relazioni con gli oggetti di amore della vita che altro non sono che i personaggi che hanno dato vita al dramma interno di ogni vita. Lo strumento parola, se viene disinvestito dal potere della fascinazione che accompagna la seduzione, permette il dire ciò che era stato scartato, rimosso, buttato, indifferenziato, liberando sonorità e colori sepolti sotto cumuli di sintomi.

Parole e parole

Avviene che, a febbraio di questo anno, il gruppo in setting di psicodramma analitico, trovi la parola di giovani uomini e donne che unendo le mani dipinte di giallo e blu, parlano dello strazio della carne viva della guerra da una scala di emergenza, palcoscenico coerente per lanciare simboli iconici e letterari che nutrano la vita e non confezionino bombe. Noi con loro affidiamo la preghiera alla voce di un megafono, affinché le onde sonore possano giungere all’altro. I portatori di queste parole e del gesto di solidarietà sono gli stessi giovani uomini e donne che parole come Pdp, curriculum, programmazione, valutazione, rendimento, rispetto mettono spesso all’angolo della vita stessa.

Il soggetto che non si rassegna

Chi è colei, chi è colui che li ricorda durante la sessione della Polivisione? È un uomo, è una donna, è il soggetto che non si rassegna a cercare la parola che può far uscire dall’emergenza, stratificazione di terre inquinate di difficile smaltimento soprattutto quando non ci sono strumenti culturali ma armi a risuonare nell’aria.  Il soggetto discorre riconoscendo la sua fragilità, poiché sa di non esistere se non  sa riconoscere il nucleo di desideri che lo ha originato, non importa né come né dove. In quella manciata di minuti in cui si svolge il seminario di Polivisione in setting di psicodramma analitico, si esplicita una frase interrogativa che si può scrivere approssimativamente così: “se non c’è il desiderio di dare origine alla vita e di afferrarla, la vita stessa non è data e il soggetto scompare”.

Il tragitto si interrompe

In una moderna e veloce metropolitana europea, il tragitto di una donna si interrompe davanti a un padre, una madre e una bambina, una famiglia che attende il turno per essere ammessi nell’Europa colta e progressista. Non chiedono, sono immoti eppure catturano il suo sguardo. Lei è straniera come loro in quelle gallerie, porta con sé un pacchetto, un piatto preparato per altri. Li supera, l’occhio forse non voleva farsi strappare il bene che le mani sorreggevano, ma la pietanza si fa inciampo, diviene offerta, baratto tra ciò che era e ciò che può essere. La pietanza si riempie di pietas. Durante il gioco drammatico, si ascolta un dialogo dove si incrocia la traduzione balbettante di almeno tre lingue, greco, inglese e italiano e un “Thank you” che risuona breve, acuto e grave a seconda di chi lo emette. Non c’è persecutore e perseguitato, uomini e donne, infans e simbolo si stringono per darsi una mano. Il giorno dopo quell’incontro, lo stesso luogo della stessa moderna metropolitana europea si fa cornice per l’assenza di corpi. I tre hanno forse ripreso il loro viaggio e la narratrice è alle prese con i resti di quel incontro: simbolo di tutti gli incontri possibili poiché l’incontro ora è in lei come nell’altro che è lontano.

Inciampo

Lo psicoanalista, di certo non nuovo alla conduzione del setting, inciampa anche lui, non ha parole a denominazione di origine controllata da offrire, poiché anche lui si riconosce nella staticità della pila esausta e ne soffre; ha memoria della fragranza di una pietanza il cui viaggio non troverà il porto sicuro perché intercettata dall’emersione della domanda silenziosa, evocata dalle traduzioni impossibili di continenti fratelli e terre sorelle nei sotterranei anonimi di una metropolitana.
Oggi siamo soltanto a 73, la conta che il mare di Cutro continua a scrivere sulla sabbia, pieno di rabbia per chi raggira i vivi con parole vuote, lui custode dei resti come della vita.
E la conta non sappiamo quando si fermerà.

note

[1] Conduzione del seminario di Polivisione, in setting di psicodramma analitico, febbraio 2023.
[2] Aperta a coloro che interrogano il desiderio della psicoanalisi nei gangli della società, essendo o non essendo psicoanalisti, invitati per aver lasciato scorrere parole che non chiedono e non chiedevano il brillio del futile e del consumo, svoltasi il 24/02/23.
[3] Vedi quanto sta accadendo nel comune di Roma a Trevignano, dove il terzo giorno di ogni mese folle attendono le lacrime di sangue da una statuina della Madonna acquistata a Medjugorje.
[4] I fatti che ci hanno indotto a credere nell'egemonia del principio di piacere nella vita psichica trovano espressione anche nell'ipotesi che l'apparato psichico si sforzi di mantenere più bassa possibile, o quantomeno costante, la quantità di eccitamento presente nell'apparato stesso. Quest'ipotesi non è che una diversa formulazione del principio di piacere, poiché se il lavoro dell'apparato psichico mira a tenere bassa la quantità di eccitamento, tutto ciò che ha invece la proprietà di aumentare tale quantità deve essere necessariamente avvertito come contrario al buon funzionamento dell'apparato, e cioè come spiacevole. Il principio di piacere consegue dal principio di costanza, invero il principio di costanza è stato infierito dai fatti che ci hanno obbligati ad adottare il principio di piacere … eppure dobbiamo ammettere che a rigore non è esatto parlare di un'egemonia del principio di piacere sul flusso dei processi psichici la legge demonia esistesse la stragrande maggioranza dei nostri processi psichici sarebbe accompagnata da piacere o porterebbe al piacere, mentre l'universale esperienza si oppone energicamente a questa conclusione punto dobbiamo dunque limitarci a dire che nella psiche esiste una forte tendenza al principio di piacere virgola che però è contrastata da altre forze o circostanze, talché il risultato finale non può essere sempre in in accordo con la tendenza al piacere. Freud, S. (1920) Al di là del principio di piacere, OSF IX
[5] tutte le fotografie sono state scattate da Nicola Basile

Contatti e informazioni

Il seminario del 25/03/2023, h 9,30-13,00, in presenza in via Nomentana 333/c è aperto a coloro che con noi desiderano interrogare attraverso il dispositivo dello Psicodramma analitico, i nodi che la relazione di cura pone alla società. Il seminario come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per per poter ricevere informazioni scrivere a Nicola Basile - nicolabasile.edu@gmail.com
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Esame radiologico presso il dipartimento di Radiologia del dr Maxime Menard presso l’Ospedale “Cochin” di Parigi.

“Vorrei che i miei pazienti stessero tutti bene”


Introduzione al seminario di Polivisione SIPsA
di Giuseppe Preziosi
Seminario aperto a coloro che interpellano la psicoanalisi.
24 febbraio 2023 h 19,30-21,00 su piattaforma Meet

L'educazione più aberrante non ha mai avuto altro motivo che il bene del soggetto

Jacques Lacan

 

“Interrogativi sospesi” 

Esame radiologico presso il dipartimento di Radiologia del dr Maxime Menard presso l’Ospedale “Cochin” di Parigi.Quanto chi è coinvolto in una relazione di cura deve augurarsi il bene di chi ha di fronte, che sia individuo, gruppo, classe, istituzione? Quando questo supposto bene è indizio di un respiro di desiderio o invece di un bisogno soddisfatto? E poi del desiderio di chi? Del bisogno di chi?

“Poi sono nate le differenze…”, viene detto nel gruppo

 

 

Esame radiologico
presso il dipartimento di Radiologia
del dr Maxime Menard
presso l’Ospedale “Cochin” di Parigi.

“Un tragitto non lineare”

Per un incontro definito aperto, decido di percorrere un tragitto non lineare per provare a sostare in queste domande, anzi meglio, un percorso parallelo, parallelo alla storia della psicanalisi, molto più antico, per molti un precursore stesso di questa. Decido di interrogare la Letteratura e la traccia è un testo di Walter Siti del 2021, “Contro l’impegno, riflessioni sul Bene in letteratura”, Rizzoli editore.

Vincenzo de Lucia
brevetto di un bigliardino a labirinto,
Afragola 1961

“Letteratura, brava infermiera”

Di Sconosciuto - http://www.san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-oggetto-digitale?pid=san.dl.SAN:IMG-00002959, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66638594“Letteratura, brava infermiera”        
Siti da acuto lettore e “osservatore” dell’oggetto letteratura si trova a constatare il ruolo che questa sembra essere forzata a interpretare nella nostra contemporaneità così preoccupata di offendere, ferire, patologizzare: il ruolo di difesa dei fragili, dei marginali, di coloro i quali sono “senza voce”. “L’idea sottostante è che il mondo sia malato e che alla letteratura tocchi come a una brava infermiera, di contribuire a risanarlo […] il valore terapeutico o ricostruttivo della letteratura si è esteso dalla psicologia individuale al dovere sociale; alla presentazione di un mio libro c’è sempre, ormai, chi mi chiede quale sia il messaggio positivo che voglio veicolare” (pag. 20). Questa idea della letteratura parte da una serie di dogmi intoccabili e impossibili da mettere in discussione. Siti ne elenca un po’: l’amore non può avere a che fare con la brutalità; il valore dei “sogni”, basta sognarlo per poterlo ottenere; la bellezza è verità e i bambini sono innocenti e tendenzialmente, aggiungo io, hanno sempre ragione. Ciò che si perde, aggiunge, con l’uso solo “benefico” della parola è la possibilità dell’avventura della parola, del suo valore di ricerca dell’inaspettato.

“Perdersi l’inconscio”  

 

https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3588120

In uno dei saggi del suo libro, si citano i quattro fondamenti della letteratura proposti in un notissimo blog statunitense (Brainpicking di Maria Popova oggi The marginalia): economizzare il tempo, renderci più gentili, guarire dalla solitudine, prepararci a superare i fallimenti. Non sembra l’auspicio condiviso di una buona psicoterapia (anche se analiticamente fondata)?

Sorprendentemente (o forse no) si scrive più avanti nel testo che ciò che rischia di perdersi è l’inconscio. “essendo figlio della profondità, l’inconscio non gode di buona stampa nel mondo della velocità orizzontale, anche perché è fulmineo nel rivelarsi in quanto sintomo ma ha bisogno di tempo perché l’io possa (in parte) riappropriarsene”.

“Concludo con una piccola storia clinica”

“Concludo con una piccola storia clinica

Un uomo di mezza età torna in stanza d’analisi dopo una interruzione di diversi mesi. Prima di questa “pausa” erano stati diversi gli anni trascorsi ad una seduta a settimana. Anni di lamentazioni sempre identiche, di racconti noiosi di lavoro e quotidianità. E per anni mi sono chiesto il senso di questo “incontro” sollecitato anche da una sua non sempre celata insoddisfazione per la mia posizione a-parte. Poco prima di una ricorrenza festiva arriva in ritardo in seduta e appena si siede, con aria grave e seria mi racconta senza un attimo di esitazione di un remoto ricordo del passato che coinvolge una figura genitoriale. Un ricordo banale, ma che solo in quel momento i gangli della rimozione avevano deciso di far riaffiorare. Dove ciò avrebbe condotto, non sapevo nel presente della seduta e forse non lo so ancora adesso, ma a seduta terminata mi sono chiesto se essere in presenza per tutti quegli anni, sforzandomi di mettere a tacere consigli, indicazioni, suggerimenti, affettività che pur questa persona suscita in me, fosse l’unica cosa che davvero potessi fare. Quanto invece, propendendo per un miglioramento della qualità della sua vita, appoggiandomi semplicemente al buon senso, al mio “supposto sapere”, all’onnipresente empatia avrei reso più difficile o forse impossibile, l’emersione di quel frammento, l’incontro con l’inaspettato?

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Il seminario del 24/02/2023, h 19,30-21,00, è aperto a coloro che hanno desiderio di interrogare e interrogarsi sulla clinica del vivere, come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
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“…l’onnipotenza ha tante forme…”

(possibile introduzione) alla Polivisione clinica Gennaio 2023

di Alessandra Corridore

 

"fondamentale è porsi la domanda: “Da che gioco sono giocato?”.

Caravaggio _ Narciso
https://it.wikipedia.org/wiki/ Narciso_ (Caravaggio)

 

“L’onnipotenza può assumere tante forme”, anche quella di colui/colei che “si prende cura”. In quanto espressione umana può catturare chiunque nelle sue maglie, specialmente chi nel passato è stato ferito. Anche il guaritore ferito, che ha trasformato la sua sofferenza in una professione e che quotidianamente si prende cura della sua ferita e di quella degli altri, può essere contagiato da Narciso, all’archetipo del Salvatore, del Guru, del Sacerdote, del Profeta…

Desiderio di eternità

Jacek Yerka
Impara a camminare
http://athenaenoctua2013.blogspot.com/
2013/05/jacek-yerka-incontro-con-un-surrealista.html

Forte e rassicurante, mai del tutto elaborato, può essere il desiderio di eternità di un sentimento o un’emozione da condividere con un altro essere umano. L’attore principale sembra essere il bambino interno che cerca l’accoglimento totalizzante, la dipendenza assoluta che rassicura, ma che non lascia andare, che può costellarsi ad esempio tra chi si prende cura e chi viene curato, piuttosto che in un rapporto amicale totalizzante, in cui tu sei il mio strumento e, se ci troviamo a lavorare insieme, desidero che tu sia me ed io sia te.

Finché arriva il conflitto e la ferita originaria si riapre, quella ferita abbandonica di chi non è stato compreso fino in fondo, o comunque come avrebbe desiderato per poter vivere la grandiosità originaria necessaria alla differenziazione.

“Poi sono nate le differenze…”, viene detto nel gruppo

Diadi

https://www.smithsonianmag.com/smart-news/dozens-2000-year-old-terracotta-figurines-found-turkey-180976978/

Con Donald Kalsched potremmo parlare di diadi che si costellano nella psiche indifferenziata, di cui un polo può essere proiettato sull’altro, o sugli altri da sé, forse per dare forza alla propria Onnipotenza, e per viversi un po’ meno impotenti… Ma l’incontro con l’altro può essere anche l’occasione per incontrare l’Altro dentro di sé, per accogliere l’Ombra (cfr. Jung), la parte intollerabile della personalità, per discendere negl’Inferi, laddove vivono gli opposti, ed accoglierli come una madre amorevole. Reggere il conflitto interno per poter finalmente conoscere, “contare” e a “far contare”, l’altro nella sua originalità.

Limiti

Baldassare Peruzzi (1481 - 1536)
https://it.wikipedia.org/wiki/ File:Baldassarre_Peruzzi_-_Apollo_and_the_Muses_-_WGA17365.jpg

“Bisogna fare i conti con i propri limiti”, viene detto durante lo psicodramma. Quando si anima o si osserva un gruppo, quel gruppo è il “nostro”? Oppure nel gruppo si attivano dei processi che prendono vita propria? Un gruppo che “finisce” dopo un anno rappresenta un fallimento? Forse nell’ottica dell’Onnipotenza si. Ma attenzione a non farsi giocare dalla fantasia della vita eterna, che blocca ogni trasformazione. Forse “la fine” può rappresentare l’inevitabile separazione, il limite ma anche il confine che, chiudendone una, aprirà altre possibilità.

Contatti e informazioni

Il seminario del 27/01/2023, h 19,30-21,00, aperto a coloro che sono impegnati nella relazione di cura, come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
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Onnipotenza

Contributo al seminario di Polivisione del 16-12-2022

a cura di Giuseppe Preziosi

 

Forme

L’onnipotenza ha tante forme, anzi mille e mille di più. l’onnipotenza è un tiranno e un dittatore, è un macigno.
Ha così tante forme che spesso non la puoi riconoscere. Forse ha qualche parentela con il diavolo e si sa che Lucifero qualche problema con la superbia l’ha avuto. E possiamo aggiungere che se per raccontare un incontro di polivisione mettiamo in campo il più bello degli angeli del Signore, i conti con l’onnipotenza proprio lì dobbiamo fare.
L’onnipotenza può prendere la forma di una donna senza storia e senza età, con solo un viso bruttino e non epilato che la costringe nello sguardo di chi è supposto curante, in un abisso di marginalità e sofferenza. Un’immagine così seducente che osservata e osservatore ci cadono dentro entrambi risucchiati dal gioco delle parti che competono loro.

Gioco del servo e del padrone

Un gioco di servo e padrone però, non un scambio tra esseri umani, non la famosa parabola del pane di cui ci parlano i Lemoine dove lo scambio si fa simbolico, un po’ di fame resta ad entrambi ma allo stesso tempo, si fonda un legame simbolico, umano. Non qui. L’onnipotenza ti dice che puoi rispondere alla domanda. Perché se di oggetto denaro ha bisogno, allora oggetto denaro darò, onnipotentemente pensando di poter rispondere ad una domanda.  Un ragionamento lineare, chiuso, sbarrato, semplice e funzionante, alla base della beneficienza di migliaia di persone, associazioni e fondazioni nel mondo.

Vergogna

Fin qui è ancora tutto troppo facile. Perché l’onnipotenza poi si mescola, si accompagna o forse si traveste, da vergogna. E che ci fa la vergogna accanto ad una così tale dimostrazione di potenza e potere? Qualche anno di frequentazione psicoanalitica ci convince che la trama di tale legame va ritrovato in storie infantili che non è il caso qui di raccontare. Basti però ricordarsi che tutti coloro che condividono la convinzione un po’ magica di curare l’altro (o l’Altro?) c’è sempre quel bambino o bambina che siamo stati.

Sfumature, possibilità e inventiva.

Infatti, questa è solo una delle storie che potremmo raccontare, una scelta a caso tra le tante: la neuropsichiatra sotto assedio, il medico in pensione con tutti gli ex pazienti in fin di vita, la psichiatra nostalgica. Quante sfumature! Quante possibilità.! Quanta inventiva!
Forse anche questo vuol significare quello che si ripete tanto dello psicodramma freudiano, partire dall’immaginario e arrivare al simbolico. In questa ridda di immagini, forme, racconti, narrazioni, punti di vista, in questa fascinazione che ci spinge a raccontarci e darci consigli, a consolarsi un po’ a vicenda, a metterci in mostra, seppur nella debolezza, il dispositivo delio psicodramma taglia e taglia corto con questa produzione ipertrofica dell’immaginario e fa come il pane, lo sottrae a tutti (il godimento) e lo restituisce sotto forme di simbolica mancanza che è la propria soggettiva modalità di stare nel mondo.

Conclusione per iniziare

E nello spazio della seduta, l’onnipotenza rivela la fatuità di tutte le forme e di tutti i suoi travestimenti, mostrando la sua vera natura, certo sempre sorprendente, quella di avere una seconda faccia, quella dell’impotenza.

Contatti

Il seminario del 16/12/2022 come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
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In o questione dell’incontro. La dimenticanza del nome apre alla ricerca

 

I treni che da Bombay vanno a Madras partono dalla Victoria Station. La mia guida assicurava che una partenza dalla Victoria Station vale da sola un viaggio in India, e questa era la prima motivazione che mi aveva fatto preferire il treno all’aereo. La mia guida era un libretto un po’ eccentrico che dava consigli perfettamente incongrui, e io lo stavo seguendo alla lettera. Il fatto era che anche il mio viaggio era perfettamente incongruo; dunque, quello era il libro fatto apposta per me. Trattava il viaggiatore non come un predone avido di immagini stereotipe al quale si consigliano tre o quattro itinerari obbligatori come nei grandi musei visitati di corsa, ma alla stregua di un essere vagante e illogico, disponibile all’ozio e all’errore. Con l’aereo, diceva, farete un viaggio comodo e rapido, ma salterete l’India dei villaggi e dei paesaggi indimenticabili [...] non dimenticate che sui treni indiani si possono fare gli incontri più imprevedibili. / Queste ultime considerazioni mi avevano definitivamente convinto. [1]

Prologo

 

 

Autumn_nicola_basile_22

Seguirò il percorso di Freud alle prese con la dimenticanza del nome Signorelli che solo un fortunato incontro fece emergere. Cercherò di illustrare come interrogare la dimenticanza sia stata per Freud e lo è per tutti noi, una strada consolare di accesso all’inconscio. Queste righe sono state provocate dal seminario di Polivisione in setting di Psicodramma Analitico della Società di Psicodramma Analitico del

In/contro

Autumn_12_Nicola_Basile_22

In/contro
Inizio dalla preposizione semplice “in”, isolandola dall’avverbio “contro”, non per far torto al secondo ma per ritrovarmi in un luogo, in una specifica condizione affettiva o emotiva, per l’esser entrato in luogo avendone lasciato un altro a cui ero legato, per essermi trovato in presenza di un altro, forse atteso ma per questo inaspettato.
Scelgo non a caso alcuni esempi di una preposizione che indicano tutti il trovarsi con l’altro, sia esso una persona, un essere vivente come un luogo che richiama estraneità.

“In” una versatile preposizione

La preposizione “in” è assai versatile, basta dare uno sguardo alla seguente tabella che rubo dalla Treccani::

Da una rapida occhiata si rileva che essa è poliedrica, si occupa di tutto, sia transazioni affettive come di quelle commerciali. La preposizione “in” non disdegna la solitudine e si accompagna volentieri ad altre preposizioni.
La ritroviamo assieme alla preposizione “contro” [2] che richiama scontro, opposizione, conflitto a meno che non si faccia precedere da lei, dalla piccola preposizione semplice “in” per alludere alla possibilità, al piacere, al desiderio, alla speranza, alla competizione che si esplica tra esseri viventi se è un sostantivo. [3]
Se diviene una forma legata al verbo esso “Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]” [4]

 

Incontro

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Contenuta nel sostantivo incontro, trovo la forma che mi intriga per scandagliare la dimenticanza di un nome e in particolare la dimenticanza di un nome, che occorre a Freud, diretto verso Cattaro [5]:
Si chiama INCONTRO il fatto di incontrare qualcuno o l’incontrarsi casualmente di due o più persone (un i. impensato; un i. felice, fortunato, sgradito; un i. inevitabile); 2. si può [...] o per la ricerca di un accordo (un i. di capi di Stato; un i. al vertice). [6]

Date e tempo dell’inconscio.

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1897 Sigmund Freud è in viaggio, ha visitato Orvieto, scrive a Martha, di cui accusa l’assenza poiché il viaggio era previsto assieme alla consorte; scrive a Fliess, come un compagno di diario che meticolosamente scrive; non comprende molto l’italiano, è straniero in una terra tanto studiata e desiderata.
1898, andando da Ragusa alle Bocche di Cattaro Egli dimentica un nome, di cui sa moltissimo e di cui ha studiato gli affreschi, l’anno prima, Signorelli. [7]
Durante uno scambio di ricordi in treno, vis a vis con un altro viaggiatore, desidera sapere se anche l’altro avesse potuto visitare la cappella di San Brizio, o cappella Nova, che si trova nel transetto destro del duomo di Orvieto. Cita tutto a regola d’arte ma il nome del pittore, che Egli conosce perfettamente, resta impigliato tra i denti. La dimenticanza è tenace e a nulla varranno gli sforzi di aggirare l’ostacolo, anche diverse catene associative non gli saranno di aiuto. Freud definirà la dimenticanza “insistente e fastidiosa”.

Invano

 

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In "Psicopatologia della vita quotidiana" Freud scrive:

“Nell’esempio da me scelto per l’analisi nel 1898, invano io mi ero sforzato di ricordare il nome di quel pittore che nel Duomo di Orvieto aveva creato i grandiosi affreschi del ciclo della fine del mondo. In luogo del nome cercato, Signorelli, mi venivano alla mente con insistenza due altri nomi di pittori, Botticelli e Boltraffio, che il mio giudizio, subito e decisamente, rifiutò come sbagliati. Quando il nome esatto mi fu comunicato da altri, lo riconobbi immediatamente e senza esitazione. La ricerca degli influssi e delle vie associative per cui la riproduzione mnestica si fosse in tal modo spostata da Signorelli a Botticelli e Boltraffio, portò ai seguenti i risultati (…) [8]

 

 

Il compagno di viaggio

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Chi sono mai questi altri che riescono a comunicare a Freud il nome che si celava dietro la dimenticanza? In realtà era semplicemente un “signore” colui che impersonò la dimenticanza, in tedesco “Herr” e fu un estraneo, un “Signore colto” colui che risolse la mancanza. Seguiamo la scrittura di Freud a ritroso, dal libro all’articolo e infine alla lettera a Fliess, di molto precedente il libro stesso: “Nel libro, la raccomandazione diventa domanda: Freud domanda a questo estraneo “Se fosse mai stato Orvieto a vedere i celebri affreschi di (…).
Il processo di recupero del nome, nella lettera, è dato come spontaneo:” Alla fine seppi il cognome: Signorelli. E ricordai subito il suo nome, Luca.”
L'articolo presenta un percorso più arduo: " Il mio compagno di viaggio non fu in grado di aiutarmi (...) dato che, essendo in viaggio, non avevo la possibilità di consultare alcun testo, per parecchi giorni dovetti rassegnarmi a sopportare questo vuoto di memoria e il fastidio interiore che esso più volte al dì mi dava, finché non incontrai un italiano colto che me ne liberò comunicandomi il nome cercato: Signorelli. Al cognome seppi subito aggiungere, di mio, il nome: Luca.”
L’interessante ricostruzione è opera dello psicoanalista francese Jean Lombardi, nel bellissimo piccolo libro del 1995 –di Freud – Erre Emme edizioni che devo aver acquistato a mia volta durante un viaggio a Orvieto con mia moglie.

 

 

Solitudine

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Freud è solo, distante da Martha, un altro lapsus coinvolgerà il nome proprio della moglie con il nome di una bellissima località sul lago di Bolsena, Marta. Freud è in transito, dirigendosi verso Cattaro. Siamo alle prese con la dimensione dell’oralità che apre all’inesprimibile lingua materna che si fa straniera ma al tempo stesso va tradotta. La lingua materna è ciò che segna il primo incontro, indicibile, dell’essere umano; incontro che si struttura come deposito dell’inconscio, di cui il soggetto è responsabile, senza averne avuto in consegna gli strumenti per decifrarlo. Il soggetto sa di aver udito la lingua materna ma non sa ripetere come Egli sia stato parlato da essa, quali note siano state emesse. Freud, e ciascuno di noi, ha dimenticato come il proprio nome da estraneo e inquietante sia divenuto, quotidiano, familiare, senza che esso si confonda su colui che risponde voltandosi, se chiamato.

 

 

Traduzione

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Scrive J. Lombardi: “Sollecitato da un'altra lingua il viaggiatore ha l'attenzione occupata dalla traduzione accanto alla lingua del viaggio, a cui ci si deve assuefare, è la lingua materna che si pone come lingua straniera. L'operazione di traduzione, che cerca di stabilire un ponte fra l'intenzione che vuole dirsi, la forma familiare che prende nella lingua materna è quella che deve farsi intendere in un'altra lingua, ha un effetto di contraccolpo. Con essa si rivela l'equivoco di ciò che è ordinario nel linguaggio d'uso corrente nella lingua materna. L’estraneità non risiede tanto nell'altra lingua quanto in ciò che della lingua materna resta inaudito, non inteso benché enunciato appunto la vera lingua straniera è quella che si intende all'insaputa di colui che parla e i cui effetti di significazione determinano gli atti più realmente di ciò che il parlatore crede di dire. Freud fa per sé stesso la scoperta delle operazioni di traduzione in questo campo d'esperienza che denomina l'inconscio, (…)”. [9]

 

 

Herr, Signore, Signorelli

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Per poter indagare l’inconscio, Freud come noi stessi, ci obblighiamo all’incontro. Incontro con lo straniero che si fa “Signore”, “Herr”, Signorelli. L’inconscio è sempre altro dal soggetto stesso, in quanto il soggetto è alienato per fondazione dal suo stesso linguaggio, essendo noi tutti e anche i nostri amici animali a noi più vicini, parlati dall’altro. [10]
E quindi è solo nella dimensione dell’incontro che è possibile avere informazioni su ciò che pur avendo una sua forma e le sue regole, non lavora come un linguaggio.

 

 

Viaggio d’incontro con la psicoanalisi

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“In questo momento, benché Freud abbia capito, dalle manifestazioni sintomatiche dei suoi pazienti, che ogni soggetto intrattiene un rapporto singolare con il sapere che ha su sé stesso, il termine psicoanalisi rappresenta ciò che Freud ignora di se stesso accanto all'altro discorso che è l'inconscio. Con l'artificio di un incontro, lungo la strada che lo conduce a Cattaro, il suo proprio discorso è realmente messa alla prova di produrre un sapere sulla verità del suo desiderio.” [11]
“Dalla prima versione alla terza, l'avvenimento sopravvenuto sulla strada di Cattaro ha preso la dimensione di un incontro.” Scrive ancora J. Lombardi,[12] Riferendosi al lavoro di Freud sulla dimenticanza del nome Signorelli.

 

 

Riflessioni al termine di questo breve scritto

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Penso con piacere che anche il convoglio che porta in viaggio, a volte in presenza, troppo spesso a distanza negli ultimi tre anni, il desiderio di viaggiatori dell’inconscio, sia diretto a Cattaro o meglio alle Bocche che si lasciano dire senza sapere cosa, per il piacere dell’incontro con la Psicoanalisi in setting di Psicodramma Analitico, dove il soggetto sa di poter dimenticare.

 

 

Note

[1] A. Tabucchi - I treni che vanno a Madras – p. 107-108
[2] cóntro-. – È la prep. contro, usata come prefisso in molte parole composte nelle quali indica opposizione (contraereo, controsenso), movimento o direzione contraria (contropelo, controvento), reazione, replica, contrapposizione (controffensiva, controquerela, contrordine), controllo, verifica (controprova, contrappello), rinforzo, aggiunta (controcassa, controfodera); con sign. più particolare, affine a quest’ultimo, nei termini di marina controvelaccio, controfiocco, contrammiraglio. Nell’uso, contro- si alterna spesso con contra-, ma a differenza di questo non produce mai il rafforzamento della consonante iniziale (cfr. contropelo e contrappelo).
[3] incontro1 incóntro1 (ant. e poet. incóntra) avv. [lat. tardo incŏntra, comp. della prep. in e cŏntra «contro»]. – 1. Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]: a. Dirimpetto: li Spini aveano il loro palazzo grande i. al suo (Compagni); anche come vero e proprio avv.: ha la sua bottega qui incontro; o, con il sign. di «verso, di fronte a» seguito da avv. di luogo: Siede con le vicine Su la scala a filar la …
[4] incontro1 incóntro1 (ant. e poet. incóntra) avv. [lat. tardo incŏntra, comp. della prep. in e cŏntra «contro»]. – 1. Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]: a. Dirimpetto: li Spini aveano il loro palazzo grande i. al suo (Compagni); anche come vero e proprio avv.: ha la sua bottega qui incontro; o, con il sign. di «verso, di fronte a» seguito da avv. di luogo: Siede con le vicine Su la scala a filar la ...Da https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/incontro/
[5] Oggi Montenegro.
[6] https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/incontro/
[7] Che cosa è successo durante questa visita Orvieto e ai dintorni, nel settembre del 1897, perché al suo ritorno Freud consideri che tale viaggio segna l'inizio della sua psicoanalisi, mentre sembrava esservi impegnato molto prima? Che cosa rappresenta questo viaggio perché l'anno successivo, nel settembre 1898, andando da Ragusa le bocche di cattaro, egli dimentichi il nome di questo pittore tanto celebre, Luca Signorelli, autore degli affreschi di Orvieto? Jean Lombardi – Il compagno di viaggio di Freud – Erre emme edizioni – p.18
[8] Psicopatologia della vita quotidiana – Sigmund Freud – Opere – vol. 4 – Bollati Boringhieri p. 58
[9] Jean Lombardi -– Il compagno di viaggio di Freud – 1995 - Erre Emme edizioni - p. 28
[10] Nella polivisione di giugno ci siamo posti la eccezionale condizione di colui che pur sapendo riconoscere il proprio nome non lo può comunicare all’altro per poter essere chiamato.
[11] Idem p. 29
[12] Idem p. 128

Bibliografia

Contatti

Per per poter ricevere informazioni, scrivere a Nicola Basile - nicolabasile.edu@gmail.com
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Transito e coordinate spazio tempo

Contributo al seminario di Polivisione del 19-11-2022

a cura di Nicola Basile e Milena Ciano

 

Anche il corpo è un luogo di transito

In Transit Foto Magali Dougados

Luoghi che sono divenuti pozzi bui e profondi, abissi che ricacciano indietro e costringono a un contatto soffocante con il dolore, richiedono a chi li deve attraversare, la ricerca di una fune, una traccia, per poterli lasciare. La mancanza di certezze, si fa corpo e lacrima, poiché il viandante non sa quale sarà la sua sosta futura né avendo transitato prima il luogo che sta percorrendo, può contare soltanto sulle sue membra. Tuttavia, anche il corpo è un luogo di transito. [1]

Coordinate per un interno esplorabile

La mappa dell'ecumene (mondo abitato) di Tolomeo ricostruita usando la seconda proiezione.

 

Il vuoto può essere uno spazio inabitabile, un’emozione senza contenitore che lascia fermi su un sedile, una regione da cui non si viene e a cui non si giunge. Il vuoto è come un quadro in cui ogni elemento risponde ad una regola di cui non c’è un portavoce perché non lo si può ascoltare e condividere, simile a un monolite impenetrabile. Il vuoto si fa volume, contenitore quando la perdita diventa un’esperienza pensabile. Il vuoto, lasciando spazio ad un ascolto di ciò che manca, acquista le coordinate di un luogo interno esplorabile. [2]

Sospensione

Paolo Migliazza, Raduno, 2022, ph credit Rosa Lacavalla (installation view

 

Tra le mura di luoghi di accoglienza che non accolgono ma separano, bambine aspettano il ritorno del materno amorevole che sani il dolore. Nel medesimo tempo prevedono che altri arrivino tra le braccia a loro negate. [3]

Simmetrie

Sette opere di Banksy in Ucraina: la conferma dello street artist.

 

Rintracciano altri terreni dove mettere radici e germogliare perché l’altro non rimanga estraneo e nemico, i semi sono corpi che hanno bisogno di contatto, di essere presi per mano per imparare a vivere, ora dal vento ora da un’anima. Hanno un padre? Hanno una madre? Tempo e spazio, sono alleati del seme per raccogliere il buono, il frutto nutriente che cresce nonostante, e grazie, ai difetti del corpo e dell’anima. Spazio e tempo disegnano simmetrie generative che sgorgano accanto all’acqua e alla luce, radici della ricostruzione della propria città oltre le macerie. Quando alcuno accede a sé e all’altro, i corpi perdono consistenza, la vita si desertifica.

 

 

 

Bibliografia e crediti

[1] Cavarero Adriana, Il corpo come luogo di transito, Doppiozero, 2014
https://www.doppiozero.com/il-corpo-come-luogo-di-transito
“Ci ricorda Roberto Esposito (in “Le persone e le cose”- Einaudi ed-), proseguendo su un filone originale di ricerca che si conferma sempre più fruttuoso, che il dispositivo della persona, lungi dal delimitare una zona compatta e impermeabile all’irruzione della cosa, è già scisso al suo interno, come del resto annuncia il termine greco persona che significa maschera.”

[2] In Transit Foto Magali Dougados
da Gardenghi Andrea, Corpi in attesa. L’umanità in transito di Koohestani, Teatro e critica, aprile 22. https://www.teatroecritica.net/2022/04/corpi-in-attesa-lumanita-in-transito-di-koohestani/
Se ne consiglia la lettura e se possibile la visione in teatro.

[3] Basso Tatiana La sospensione della scultura: intervista a Paolo Migliazza, 2014 in Exibart https://www.exibart.com/arte-contemporanea/la-sospensione-della-scultura-intervista-a-paolo-migliazza/
Se ne consiglia la lettura come l’esplorazione del contenuto visivo.

Il contenuto di questo breve testo si deve a tutti coloro che hanno partecipato al Seminario di Polivisione in setting di psicodramma Analitico della SIPsA che si è tenuto on line a ottobre 2022.
I crediti per le immagini sono riportati in didascalia.
Ci scusiamo per distrazioni o inesattezze nelle citazioni bibliografiche, pronti a correggerle.

 

Contatti

Il seminario del 19/11/2022 come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
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“Per fare un tavolo ci vogliono due [L] e quattro zampe” Polivisione 19-11-22

 

 

Introduzione al seminario di Polivisione del 19/11/2022
 di
Nicola Basile

"La lettera, nondimeno, era rovesciata, coll’indirizzo fuori, e, il suo contenuto rimanendo così nascosto, essa non fu notata"
E. Allan Poe - La lettera rubata

 

Il giorno 19 novembre 2022, dalle h 10,00 alle 13,00, svolgeremo il seminario di Polivisione con lo Psicodramma Analitico in presenza, a Roma, in via Nomentana 333 b, sede dell'associazione "Per fare un fiore" per  proseguire il lavoro della stagione settembre 2022 - giugno 2023.

Guardando un tavolo dall’alto...

Guardando un tavolo dall’alto può essere visto come due L simmetriche che ruotando sul piano danno vita a uno spazio delimitato. Da qualche parte, sul perimetro si trova un poco nascosto il soggetto, in qualche altro punto, forse sui vertici o sulle diagonali, discorsi di altri.
A questo tavolo che noi ricordiamo come un “non luogo di incontro” tra figli, figlie e la coppia genitoriale, viene posta una domanda: “Mi riconoscete? Sono ciò che è altro da voi ma che da voi è stato nominato e che in quel nome agogna di potersi identificare”. Il testo volutamente nasconde il genere del parlante, che ha effettivamente preso parola nella scorsa sessione del seminario, ma è chiaro che il soggetto interrogante attende una risposta, forse perché è tagliato fuori dal desiderio di coloro che lo hanno generato e di cui il terzo condivide il desiderio. [1]
Affinché ci sia un parlante, è chiaro che troviamo un “Io”, cioè una forma di identità che può distinguersi dall’altro in quanto sa esprimere parola. Tuttavia, proprio questa parola è un luogo perfetto in cui il parlante si nasconde, in quanto “il significante è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante” [2]

Una domanda che nasconde il discorso

riflessi di una rosa con

Poco importa che il nostro soggetto sia maschile o femminile, poiché egli pone la domanda, il discorso stesso che lo nasconde. Potrebbe chiedere all’altro delle rose che ricorda nel giardino d’infanzia, ma le rose, dotate di spine, fanno esprimere al parlante il dolore che le spine provocano a chi non sa bene maneggiarle. Poiché il soggetto non è una rosa, è un uomo, è una donna, parla di dolori e profumi che parlano per lui, celandolo, forse proteggendolo, poiché la rosa diviene un profumo, un ricordo, un gesto. È la rosa che parla? È il dolore di una spina che ha attraversato la pelle a comunicare il rosso purpureo di una goccia di sangue? A chi appartiene il sangue, a chi era destinata la rosa?
Quale sia il luogo da cui prende vita il discorso, è la domanda che è vitale porsi per non cadere nel tranello del discorso che rimanda sempre a un altro termine, a un altro sogno, a un frammento di un’opera d’arte visitata anni prima. L’origine del discorso di colui o colei che parla è sempre nell’Altro a cui l’epistola è destinata. [3]

Non tradire lo specchio che lo riflette.

 

Ad un tavolo, rettangolare, composto da due lettere, identiche ma rovesciate, il discorso trova casa in quanto l’uno può chiedere che l’altro riconosca il proprio desiderio. Ma in realtà è solo il discorso che arriva all’altro che permette all’emittente di riconoscere che lui esiste. [4]
Se mi racconto a te, se incontro te, se tu ascolti me, io sarò il discorso che si sta veicolando tra me e te, e il discorso si farà filo sottile e resistente dell’immagine che tu restituirai a me, che io donerò a te, io specchio di te, tu specchio di me, ignari che nessuno dei due sta nel suo posto. [5]
L’altro chiede di non tradire lo specchio che lo riflette, incarnato ora dall’ascoltatore, ora dal parlante, affinché i due specchi frontali si riflettano infinite volte, fino a confluire in un punto non più distinguibile, l’inconscio. Mentre scrivo sono anche il lettore, mentre mi presento sono anche lo sconosciuto a cui porgo il saluto, mentre ascolto jazz sono ciò che ogni armonico emesso dal jazzista rimanda ad infiniti altri armonici di cui non conosco l’esistenza ma di cui vivo l’esperienza. “Quando il soggetto parla con i suoi simili, parla nel linguaggio comune, che tratta gli io immaginari non come cose semplicemente ex-sistenti, ma reali. Non potendo sapere che cosa c’è nel campo del dialogo concreto, ha a che fare con un certo numero di personaggi, a’, a”. In quanto il soggetto li mette in relazione con la propria immagine, coloro a cui parla sono anche coloro a cui si identifica” [6].

 

 

Muro

Lacan chiama muro del linguaggio quel muro che rende vana la comunicazione tra soggetti. Quel muro rende il messaggio una lettera vuota in quanto il contenuto della lettera è sempre postato in un altrove che rende vana la ricerca del destinatario. Inutile che io chieda una risposta concreta a colui che se n’è andato, come potrà egli rispondermi? Quandanche egli tornasse, quella domanda probabilmente non avrebbe più senso, lasciando così il sospetto che non fosse mai stata alcuna domanda a cui l’altro avrebbe potuto rispondere.

Prendimi con te! - chiede l’amante, all’amato che si allontana. Colui che si allontana non risponde e così si trova a intrecciare il suo silenzio con la domanda a cui non può rispondere. L’uno vorrebbe catturare l’altro che volge le spalle ma è la domanda stessa che fa muro con chi si allontana; l’altro si distacca ma la separazione ha posto un legame, un nodo, che fa muro dietro cui nascondersi.
Da chi potrebbe allontanarsi se non da sé stesso? A chi sta parlando l’implorante?
In questo dialogo nessuno può mostrare chi sia, in quanto il discorso immaginario rende possibile solo parole vuote, simili a caramelle che non leniscono la fame di pienezza.
Non c’è dunque speranza? E dunque perché si utilizza un setting psicodrammatico come strumento psicoanalitico per far emergere dal labirinto immaginario la traccia del soggetto che si nasconde nel rinvio di un significante con un altro significante? “L’analisi consiste nel fargli prendere coscienza delle […] relazioni [del soggetto], non con l’io dell’analista, ma con tutti quegli Altri che sono i suoi veri interlocutori, e che non ha riconosciuto. Il soggetto deve progressivamente scoprire a quale altro si rivolge realmente, senza saperlo, e assumere progressivamente le relazioni di transfert al posto in cui è, e dove all’inizio non sapeva di essere” [8].

Gioco e appello all'Altro.

Prendimi con te! - chiede l’amante, all’amato che si allontana. Colui che si allontana non risponde e così si trova a intrecciare il suo silenzio con la domanda a cui non può rispondere. L’uno vorrebbe catturare l’altro che volge le spalle ma è la domanda stessa che fa muro con chi si allontana; l’altro si distacca ma la separazione ha posto un legame, un nodo, che fa muro dietro cui nascondersi.
Da chi potrebbe allontanarsi se non da sé stesso? A chi sta parlando l’implorante?
In questo dialogo nessuno può mostrare chi sia, in quanto il discorso immaginario rende possibile solo parole vuote, simili a caramelle che non leniscono la fame di pienezza.
Non c’è dunque speranza? E dunque perché si utilizza un setting psicodrammatico come strumento psicoanalitico? Attraverso il gioco e l'appello all'Altro la traccia del soggetto emerge dal labirinto immaginario del rinvio di un significante con un altro significante. “L’analisi consiste nel fargli prendere coscienza delle […] relazioni [del soggetto], non con l’io dell’analista, ma con tutti quegli Altri che sono i suoi veri interlocutori, e che non ha riconosciuto. Il soggetto deve progressivamente scoprire a quale altro si rivolge realmente, senza saperlo, e assumere progressivamente le relazioni di transfert al posto in cui è, e dove all’inizio non sapeva di essere” [8].

 

Un non luogo di cui avere cura: l'inconscio.

 

Se intorno un tavolo poniamo coloro che vanno a trovare e coloro che attendono di essere ascoltati, premiati, amati, il vero discorso di coloro che sono in attesa di esser presi, è quello di sentirsi nella funzione di coloro che se ne vanno. Ma nel momento stesso in cui si gira dall’altra parte del tavolo, la parola vera è ritrovarsi nel posto di coloro che attendono l’arrivo dell’Altro senza aver più domande da porre, in quanto il gioco di ricevere risposte, parole vuote, dura quanto il sapore di una caramella. Quindi il nostro domandare è una risposta, ovvero, la parola autentica è possibile facendo parlare l’Altro come tale. Se “io” dico, “tu sei il mio maestro” (parola vuota), dall’Altro arriva la parola vera: “io sono il discepolo”. [9]
La caramella, il dono, fa sentire cattivo chi lo riceve, in quanto il discorso è sempre ambiguo o riflesso: l’uno premia perché l’altro possa dimenticare le offese; accettando il dono si pone la firma sulla cancellazione della relazione. L’inconscio lavora per inversioni, condensazioni, metonimie e metafore, ciò che appare palese, nasconde, ciò che nasconde, palesa. Dare un posto all’inconscio è il lavoro di tutti e tutte educatrici e educatori, psicologi e psicologhe, operatori sanitari, scrittori e scrittrici, uomini e donne di buona volontà che dall’asse immaginario dell’etica, si sforzano di far emergere il soggetto del simbolico. La clinica vera è la ricerca della parola che risuona negli accordi della vita nascondendosi tra gli armonici, quella che fa apparire il buco nel muro.

 

Note e crediti

[1] Dolto F., Il desiderio femminile, Mondadori, Milano, 1994, pp. 288-289.

[2] “un significante è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante” J. Lacan, «Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano», in Scritti, vol. II, a cura di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974, p. 822.

[3] “Applicheremo, per fissare le idee e le anime in pena la suddetta relazione sullo schema L già proposto e qui semplificato. Che significa che la condizione del soggetto S ( nevrosi o psicosi) dipende da ciò che si svolge nell'Altro A. ciò che vi si svolge articolato come un discorso ( l'inconscio è il discorso dell'Altro), la cui sintassi Freud ha cercato di definire in un primo tempo nei frammenti che in momenti privilegiati, sogni, lapsus, tratti di spirito, ce ne giungono. In che modo il soggetto sarebbe interessato a questo discorso se non fosse parte interessata? E lo è infatti, in quanto stirato ai quattro angoli dello schema, e cioè: S, la sua ineffabile stupida esistenza, a, i suoi oggetti, a’, il suo io, cioè quel che della sua forma si riflette nei suoi oggetti, e , A, il luogo donde può porglisi la questione della sua esistenza.  Lacan J., Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, Scritti, Einaudi, Torino, 1974, vol. 2, p. 545

 

https://www.giovannibottiroli.it/it/psicoanalisi/61-estimita-intimita.html

 

 

Interpretazione  dello schema L proposta da Giovanni Bottiroli in https://www.giovannibottiroli.it/it/psicoanalisi/61-estimita-intimita.html

 

 

 

[4] Sull’asse immaginario ritroviamo lo stadio dello specchio nel quale si gioca la riconquista dell’identità in quanto immagine dell’altro, assunta come propria immagine, infatti, attraverso l’immagine dell’altro possiamo avere accesso alla nostra identità. Quindi l’altro nello specchio, che è l’immagine dell’Io, sarà il filtro attraverso il quale noi percepiremo l’altro, il simile che sullo schema viene identificato con a’: “[…] la forma dell’altro ha il più stretto rapporto con l’io, gli è sovrapponibile, e lo scriviamo con a’“. Lacan J, (1954-55) Il seminario Libro II. L’io nella tecnica di Freud e nella teoria della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1991, p. 281

[5] Il filosofo francese Maurice Merleau Ponty (1908-1961) ha chiamato uno specchio "lo strumento di una magia universale che cambia le cose in occhiali, gli occhiali in cose, me in altri e altri in me”

[6] Lacan J, (1954-55) Il seminario Libro II. L’io nella tecnica di Freud e nella teoria della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1991, p. 281 in “Schema L” di Giuseppe Salzillo https://www.giuseppesalzillo.it/schema-l-psicologo-milano-navigli/

[7] idem

[8] idem

[9] https://www.giuseppesalzillo.it/schema-l-psicologo-milano-navigli/
Si ringrazia il dott. Giuseppe Salzillo di cui apprezziamo il blog e si resta a disposizione per eventuali correzioni o crediti non correttamente riportati.

 

Contatti

Il seminario come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
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Là Qui Là/L’Aquila

 

 

Testi preparatori al seminario di Polivisione
a cura di
Silvia Brunelli - Milena Ciano - Alessandra Corridore - Dario Maggipinto - Marina Pagliarini

 

Il giorno 21 ottobre 2022, dalle h 19,00 alle 21,00, svolgeremo l’incontro on line,  per proseguire il lavoro del seminario di Polivisione con lo Psicodramma Analitico, stagione settembre 2022 - giugno 2023.

"Là Qui Là/L’Aquila" - dott.sse Silvia Brunelli e Milena Ciano

 

Il gruppo dopo un lungo periodo di lavoro online, si ritrova in presenza, a far incontrare i corpi, accolto in uno studio che era dispensa, dove i pixel dello schermo si fanno concreti e vividi: dispensa in cui ognuno ha accumulato e organizzato contenitori e contenuti che si personificano, offrendo la possibilità di assaporare il desiderio in gruppo, portando tra le sedie anche La presenza di chi non ha potuto esserci.
Il luogo dell'incontro è in una città ferita dal terremoto che ha scosso la sua quotidianità e, come noi, è in ricostruzione, diventando simbolo di come ciò che è attraversato dalla morte può tornare alla vita, alla ri-costruzione e all’accoglienza. Si parla di stanze, case, luoghi che possono diventare monumenti al dolore e alla mancanza; dove una richiesta impossibile ha tessuto un filo che non si può spezzare e lega alla morte chi è vivo.

Là Qui Là

Là è l’altrove sconosciuto dove arriva chi abbandona il mondo di Qui: il gruppo si interroga su quale Là possa esistere come cucitura che rimedia all’incomunicabilità di questi due luoghi: vivere pur ricordando, separarsi da ciò che non è più, per accogliere ciò che resta. Come si saluta chi parte da Qui?
Là è impensabile, inchioda all’impotenza e induce a pensare che stare, esserci, sostenere sia qualcosa che ha a che fare con l’azione concreta. È difficile perdere, lasciar andare, la presenza di un’assenza resta e può occupare tutto lo spazio disponibile, il vuoto diventa pieno: un blocco monolitico.                                      L’unico modo di aprire uno spiraglio sembra quello di sostare in quel vuoto, costruendo con l’altro la possibilità di abitarlo.

Sul sapere dell’altro

Un nome impronunciabile, una diagnosi-sentenza che non può essere ascoltata, afferma: “Io so per me e per l’altro”. Così non c’è spazio per il terzo che separa e costringe a riconoscere l’altro da un sapere che non può manipolare, liberando i due dalla dipendenza di chi sa e di chi deve abdicare. Nel gruppo si ascolta e si riflette sul ruolo di chi, in istituzione, media, separa e crea un contesto di cura che liberi il soggetto e gli permetta di essere riconosciuto nella sua disabilità ma anche nella sua possibilità.

 

 

L’Aquila

 

Come l’Aquila anche i pazienti incontrati nei giochi hanno crepe e fragilità da sostenere: si apre il cantiere della cura per costruire un nuovo modo del paziente di stare nel Qui. Il gruppo si interroga su come divenire nel lavoro di ricostruzione, sostegno transitorio per l’altro, sapendo riconoscere quando la struttura ha acquisito una sufficiente stabilità.

                                                                                         

"Corpi" - dott. Dario Maggipinto

Corpi che si incontrano, si osservano e si accolgono con un profondo senso di nostalgia, alla ricerca di uno spazio fisico dove presentificarsi. Roma? L’Aquila? Lo spazio è troppo grande? Troppo piccolo? Ci sarà un posto per me?Nel flusso onirico del gruppo, entra in scena l’immagine del monolite, un vuoto troppo pieno, granitico, come rappresentazione di un ignoto e inconoscibile alieno che diviene atto fondativo della “civiltà” del gruppo, matrice insatura ed elemento imprescindibile per stimolare la curiosità a trasformare le pulsioni in pensieri pensabili. Nel tentativo di digerire contenuti non pensabili, il corpo diviene di sale, si pietrifica dinanzi ad una colpa congelata, le assenze divengono omicidi. L’impensabilità in corpi totalmente disinvestiti dalla realtà è l’elemento principale della prima parte del lavoro del gruppo, come a voler rappresentare non solo i casi clinici riportati dai partecipanti, ma anche la profonda sensazione di corpi anestetizzati sperimentata durante gli incontri on-line. Emerge forte nel gruppo la rabbia o il profondo senso di impotenza dinanzi ad un corpo alienato in difesa dal corporeo morente. La-Qui-La, il luogo che ci ospita diviene suggeritore dei movimenti del gruppo, si interroga sull’ (aldi)La, sulla vita senza il corporeo, si glorifica nel Qui, nella presenza vitale del corpo che si incontra e investe con l’altro, si perde nel La, altra dimensione, alienata, dove il corpo diviene una prigione vivente di un mentale morente, fino ad arrivare alla negazione totale dei bisogni corporei e morire di fame: resto attaccato alla perdita.

Contrasto

Nella seconda parte del lavoro di gruppo, il flusso di pensiero si articola intorno al contrasto tra legami duali fusionali e la funzione dell’istituzione come “crudele” separatrice. In questo scenario, i partecipanti si sentono gravati dalla crudeltà di dover strappare figli da genitori troppo bisognosi o di dover definire attraverso una diagnosi di “schizofrenia” una individuazione, seppur patologica, tra figlia e madre, che porta quest’ultima a perdere l’oggetto delle proprie identificazioni e proiezioni, divenuto ormai troppo danneggiato. Si riconosce nell’istituzione oltre ad una funzione di cura, anche il suo esatto opposto, ossia un movimento di patologizzazione o di fallimento, creando uno scontro profondo tra la soggettività della persona in sofferenza e l’impotenza dell’operatore. Il gruppo rievoca la profonda ambivalenza della decisione istituzionale rispetto alle quarantene, improntate sull’urgenza di una protezione fisica dal virus, ma ignorando totalmente le conseguenze psicologiche ed emotive di una chiusura in spazi o famiglie tossiche. Il perturbante si alimenta nel movimento perverso dell’istituzione, in un cambio di rotta da funzione separatrice degli elementi famigliari a stimolatore di fusionalità in spazi già fin troppo piccoli. Dove si colloca l’operatore di cura? Il gruppo assolve alla funzione di contenitore del dilemma tra estrema fusionalità della “cura” e rischiosa disumanizzazione che genera disintegrazioni identitarie.

 

"Trattenere o lasciar andare?" - dott.ssa Alessandra Corridore

"La forza schiacciante dell'inconscio, l'aspetto divoratore e distruttore in cui e con cui esso può manifestarsi, è figurata come madre cattiva, che può essere la signora cruenta della morte e della peste, della fame o dell'inondazione, la forza dell'istinto o la dolcezza che trascina al disastro. Quale madre buona invece essa è la pienezza del mondo prodigo, la dispensatrice benefica di felicità e di vita, il suolo della natura che produce il nutrimento e la cornucopia del grembo che partorisce; è la bontà e la grazia della forza creativa originaria, che permette e dona quotidianamente redenzione e resurrezione, nuova vita e nuova nascita" (1).

LA-QUI-LA, qualcuno ha detto. E dov’è il “qui” e dov’è il “là”? Roma, L’Aquila, Bari…, l’appartamento o lo studio di ognuno quando ci si incontra da remoto in un luogo, che è un non-luogo, in cui giocare ed essere insieme simbolicamente? Al “desiderio della presenza” (cfr. introduzione alla Polivisione settembre 2022), in alcuni casi legata ad una conoscenza meramente virtuale, è seguita la presenza dei corpi, con tutta la loro potenza.

Gioco 1: analista con la sua paziente chiusa in casa con la promessa di essere fedele al marito morto, non vuole andare alla commemorazione

Pietra che ricorda e commemora la pratica della Sati al Meherangarh Fort di Jodhpur

La scena può essere amplificata riferendosi alla pratica della Sati, chiamata anche suttee, appartenente ad alcune comunità indù in cui una donna da poco vedova, volontariamente, drogata o con l’uso della forza, si suicida a causa della morte del marito. La forma più nota di sati è quando una donna brucia a morte sulla pira funebre del marito anche se esistono altre forme, tra cui l’essere sepolta viva con il cadavere del marito e l’annegamento.

Il termine sati è derivato dal nome della dea Sati, nota anche come Dakshayani, che si autoimmolò perché non era in grado di sopportare l’umiliazione inferta da suo padre Daksha nei confronti del marito Shiva, ancora vivente. La pratica della sati compare per la prima volta nel 510 a.C., quando una stele che ricorda questa storia venne eretta a Eran, antica città nello stato moderno del Madhya Pradesh.

La pratica della sati era considerata la più alta espressione di devozione coniugale verso il marito morto. Era ritenuta un atto di pietà senza pari, finalizzato a liberare dai peccati, dal ciclo di nascita e rinascita e a garantire la salvezza al marito morto e a sette generazioni a venire. Poiché i suoi sostenitori hanno da sempre lodato il comportamento di queste donne rette, non lo si è mai ritenuto un suicidio, altrimenti sarebbe stato vietato o scoraggiato dalle scritture indù.

Solo se la donna era virtuosa e pia sarebbe stata degna di essere sacrificata; di conseguenza, essere bruciata o essere vista come una moglie fallita erano spesso le uniche scelte
(cfr. https://www.indianepalviaggi.it/la-pratica-della-sati-le-vedove-bruciate/). Stein D.K.  nel 1978 scrive: “La vedova sulla strada per la sua pira era oggetto (per una volta) di tutta l’attenzione del pubblico … dotata del dono della profezia e del potere di curare e benedire, si  immolava in pompa magna, con grande venerazione“. Probabilmente si trattava dell’unico modo per esistere, come forse anche per la donna del racconto

[1] Non c’è quindi da stupirsi che le donne vivendo in una società e cultura in cui si prestava così poco attenzione alle donne come individui, abbiano ritenuto che questo fosse l’unico modo per una buona moglie di comportarsi. L’alternativa, in ogni caso, non era attraente. Dopo la morte del marito la vedova hindi si aspettava di vivere una vita apparente, rinunciando a tutte le attività sociali, rasatura della testa, mangiare solo riso bollito e dormire su sottili stuoie grossolane. Per molte la morte era preferibile, soprattutto per le vedove ancora bambine.

Gioco 2: cambio di casa e di abitudini nella morte

Jung in Gli aspetti psicologici dell'archetipo della Madre parla dell'esistenza di due aspetti tra loro opposti racchiusi nel simbolo della Grande Madre, la madre amorosa e la madre terrificante (2). L’archetipo della Grande Madre, che in questo caso potrebbe essere richiamato dal personaggio della nonna, rappresenta il principio benefico, protettivo, sostenitore, stimolante, fecondo e nutriente, finché il figlio non si allontana prendendo la via dell’autonomia e lei si accorge che sta per morire simbolicamente. Allora si trasforma in Grande Madre Terribile che, come Demetra quando Kore fu rapita da Ade per farne la sua sposa, furiosa provocò un lungo inverno e bloccò la crescita di messi e raccolti.

Jung dice anche che sono tre gli aspetti del materno "La sua bontà che alimenta e protegge, la sua orgiastica emotività, la sua infera oscurità"  (3) Inoltre, aggiunge: "Quando avviene una trasformazione, la forma precedente non perde assolutamente nulla della sua forza d'attrazione: chi si separa dalla madre brama di ritornare da lei. Questo desiderio può invertirsi in passione divorante che mette in pericolo il frutto delle acquisizioni precedenti. In questo caso la 'madre' da un lato appare come la mèta più alta, dall'altro come minaccia gravida quanto mai di pericoli, come 'Madre terrificante' (4)

Gioco 3: la cui madre non la lascia parlare

Simbolicamente, con Neumann potremmo parlare di “l’incesto uroborico … sempre visto come segno di morte, di dissoluzione definitiva nell’unione con la madre. Caverna, terra, sepolcro, sarcofago, bara sono i simboli di questo rito di riunione” (5)

Gioco 4: responsabilità e impotenza/onnipotenza nel voler salvare tutti

https://www.comune.laquila.it/pagina129_lapertura-della-porta-santa.html

Trattenere o lasciar andare? Trattenere o lasciar andare un marito, una madre, un figlio, un paziente, un alunno? Ogni scelta, che determina una nuova direzione, una nuova vita, una nuova casa, un luogo “altro” in cui incontrarsi, porta sofferenza e morte di una parte, che però non smette di chiamare attivando sensi di colpa e desideri di riparazione. Neumann scriveva che soltanto la capacità di dire “no”, di distinguere, separare, escludere (piuttosto che unire, abbracciare, fondere) permette la differenziazione dall’Uroboros materno (6)). Non si tratta però di una scelta facile e non scevra da sofferenza!
L’Aquila sembra fare da cornice a tutto ciò. Emblematica infatti è la figura di papa Celestino V, colui al quale viene attribuito il “gran rifiuto”: forse sarebbe stato più facile per Pietro da Morrone accondiscendere alla Grande Madre Chiesa del XIII secolo, continuando a sostenere le sue consuetudini, tra le quali il “traffico delle indulgenze”, piuttosto che dire “NO” attraverso l’istituzione della Perdonanza e della Porta Santa, presso la Basilica di Collemaggio, che ogni anno dal 1294 viene aperta per permettere ai fedeli la remissione i propri peccati.

 

Bibliografia

1 – Neumann E., 1949, Storia delle origini della coscienza, pp. 54-55 Astrolabio - Ubaldini

2 – Jung C G.,  1938/54, Gli aspetti psicologici dell’archetipo della Madre, in Opere, vol. 9*, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, Boringhieri, Torino, 1980

3 - Idem

4 - Jung C. G., 1912/52, Simboli della Trasformazione, in Opere, vol. 5, Boringhieri, Torino, 1970, p. 83.

5 - Neumann, 1949, Storia delle origini della coscienza, AstRolabio, Roma, 1978, p. 236.

6 - ibidem, p. 297.

Si consiglia inoltre di visitare: https://www.indianepalviaggi.it/la-pratica-della-sati-le-vedove-bruciate/

Abitare la notte dott.ssa Marina Pagliarini

“Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il  suo tempo sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo  per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare  quello che si è piantato. Un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare (...) un tempo per cercare e  un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo  per buttare via  (...)”

(dal Qoèlet o Ecclesiaste)

tempo per piantare, per costruire, per danzare

notte sulla ferrovia
notte sulla ferrovia di N. B.

Una nonna, anziana e sofferente, sente avvicinarsi la fine; lei desidera solo la quiete del LA’, ma è ancora nel QUI con tutto il peso della corporeità e della sua umanità.La giovane e vitale nipote le vuole bene, le vuole stare vicino e la vuole aiutare, cerca di capire. Per la giovane ragazza è il tempo per piantare, per costruire, per danzare: attraversa un QUI che non prevede il LA'. Ma nel gioco dell'incontro tra il QUI e il LA' c’è uno spazio che è un luogo interiore in cui si trascorre la notte, un tempo di riposo, talvolta di angoscia e di domande in cerca di risposta. E abitando la notte, attraverso la notte, nel proprio tempo logico, ecco farsi giorno. Si rinasce al nuovo giorno. È il tempo per cercare: nasce il desiderio della Cura e del farsi soggetto della cura dell'Altro.