Lettera da un interpellante di mezza età
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera in merito al seminario di Polivisione di febbraio 2023 [1]
Un commento avrei voluto farlo quasi subito, ma la cronaca, aggiungendo nuovi fatti ad alcune delle stesse emozioni che animavano l’incontro, ha rallentato il metabolismo: è sempre più complicato assimilare gli urti emotivi, chissà quali e quante le ragioni alla base di questa difficoltà.
Inizierei però dalle cose che non avevo capito: ad esempio, non avevo capito che il gruppo, questa volta, vedeva prevalere numericamente gli operatori professionali rispetto al numero di coloro che interpellano le conoscenze di tali professionalità.
E non avevo compreso se tutte le parti dell’introduzione al seminario, da ‘Interrogativi sospesi’ a ‘Concludo con una piccola storia clinica’ fossero state scritte da uno stesso autore; mi era sembrato anzi dover propendere per una scrittura a più mani, impressione comunque cambiata dopo la partecipazione: avrò infine interpretato correttamente?
E, per finire, non ero stato in grado di farmi un’idea di come gli argomenti dell’introduzione potessero – ove mai ciò fosse effettivamente previsto per quell’incontro – tendere ad inglobare anche il possibile riferimento ai termovalorizzatori (intesi come totem simbolico dello scarto, quantomeno); nella mia ricorrente ingenuità, mi era tornato in mente (ma che non sembri un riferimento irriverente, giammai, perché tale non vuole assolutamente essere) il titolo di uno dei film del compianto Massimo Troisi, ovvero ‘Pensavo fosse amore, invece era un calesse’. Perché mi era venuto in mente questo titolo? Solo ed esclusivamente per la apparente mancanza di affinità tra la parola calesse e la parola amore, un po’ come potrebbe sembrare sulle prime, a sprovveduti come me, nel confronto tra il concetto di termovalorizzatore e gli argomenti alla base della ricerca della cura dell’io.
E così possiamo passare alle emozioni.
Quella forte dei colori, quelli familiari che cercavano di avvolgere giovani che sono dovuti fuggire dai loro paesi e che speriamo riescano a sentirsi accolti qui, nonostante ora il nostro paese si dimostri, per analoghe situazioni, rudemente e muscolarmente incapace di accogliere. Mi sono trovato a sorprendermi (senza che nulla possa ovviamente giustificare tale sorpresa) di come, nel racconto della sua collega, l’emozione si manifestasse in modi così, come dire, ‘familiari’: una involontaria sorpresa la mia, una osservazione quasi bizzarra, come se le modalità reattive degli operatori professionali fossero destinate sempre a presentarsi diverse da quelle degli ‘interpellanti’ (mi lasci usare questo termine come sintesi, pur ingiustificabile, per ‘coloro che interpellano le conoscenze’ usato sopra).
Quella forte di tornare a incontrare una compagna del viaggio di tanti anni fa e di incontrarla ora in una vita tutta nuova e in una diversa città antica (antichità che sarebbe stata scossa qualche giorno dopo da una assurda tragedia moderna dei servizi di trasporto), di sentire che anche lei riconosceva subito l’altro viandante, invitandolo di nuovo a interpretare un ruolo a ciò chiamando in causa un ricordo di serietà (forse aveva usato un altro termine, non sono sicuro, io, di ricordare bene): un ricordo che ti fa bene all’anima e ti muove alle parole, nel gioco e non solo per il personaggio interpretato, la parola dignità.
E infine, l’emozione del contrasto tra le parole curare e prendersi cura: mi ha fatto tornare in mente quando dicevo che avrei forse scritto un giorno un libro su ciò che divora un ‘interpellante’, un libro che sono felice di non essere più capace di scrivere. Però credo di poter immaginare alcune delle sensazioni che potevano agitare chi ha posto all’operatore professionale il confronto tra i due termini.
Ne propongo a lei altri, prendendoli dall’ultimo brano dell’introduzione al seminario, dato che nel brano mi era, solo sulle prime, venuto di identificarmi, ‘dispiacendomi’ un po’, sempre e solo sulle prime, appunto per alcune parole che avrei sostituito:
- Uomo di mezza età: perché non solo ‘uomo’? Io, ad esempio, chiamo spesso in causa, ormai, la mia ‘veneranda’ età, ma, non so perché, se mi ripenso ‘interpellante’, quella descrizione mi suona male, forse perché da quel percorso si spera di uscire ricondotti, in un certo senso, all’indietro, a quando il male oscuro non ti aveva ancora reso improvvisamente ‘vecchio’; così la specificazione dell’età sembra assegnarti, invece, ad un percorso che va inevitabilmente solo in un senso, quello del tempo che passa senza consentirti mai di ritornare un poco anche all’indietro, di risentirti, appunto, di nuovo un po’ più solamente uomo e un poco meno vecchio;
- Lamentazioni sempre identiche, di racconti noiosi di lavoro e quotidianità: perché non solo ‘racconti sempre identici, di lavoro e quotidianità’? Quante volte io per primo, da ‘interpellante’, ho definito inutili lamentazioni noiose le cose che dovevo raccontare; io per primo non capivo dove, quando e perché la varietà della mia precedente narrazione quotidiana si fosse dovuta trasformare nell’asfissiante inutile ritornello del tentativo di dare un volto al mostro che ti corrode; ancora ora, però, a leggerle così (come comunque erano, certo), ti fanno tornare in mente la paura che il mostro possa tornare …
Ma arrivando invece alle conclusioni, senza per fortuna lasciarsi nuovamente agitare dalle ansie, che dire: un incontro davvero stimolante, nel quale riesco a identificare in via separata – ciò che mi appare una vera fortuna, ripensando ad anni fa – da una parte l’effetto delle emozioni, dall’altra una nuova interessante vista sul mondo della sua professione.
Grato per l’invito e curioso per i prossimi, se questi commenti non le sembreranno ingiustificabilmente irriverenti.
Un caro saluto e a presto.
[1] lettera firmata
[2] Nelle pitture etrusche di alcune tombe di Tarquinia, e forse anche di Chiusi, tra varie scene sportive e giochi funebri, è raffigurato uno strano personaggio mascherato denominato phersu. Phersu in etrusco voleva dire maschera (il nome si evince dalla chiara iscrizione apposta in due casi accanto al personaggio), da cui deriva l'italiano "persona", attraverso il latino persōna "maschera", nel senso di «apparato atto a far risuonare la voce». La paretimologia del latino persōna da per "attraverso" e sonare "suonare" è smentita dalla quantità breve della O del verbo latino sonare. https://it.wikipedia.org/wiki/Phersu