“non credo che i nostri successi terapeutici possano competere con quelli di Lourdes; le persone che credono ai miracoli della Santa Vergine sono molto di più di quelle che credono all’esistenza dell’inconscio.”
Sigmund Freud
Gli anni del padre della psicoanalisi sono lontani, è distante la Vienna dei primi del Novecento, è trascorso un secolo che ha trasformato radicalmente il mondo, interno e esterno, dell’essere umano; crediamo ancora però nel profondo valore della scoperta freudiana.
Sono questi anni traboccanti di parole, informazioni, spiegazioni, dove proliferano le iperspecializzazioni e le tecnologie che spingono sempre più nel dettaglio il loro sguardo indagatore, dove l’imperativo del benessere sentenzia su abitudini, stili di vita, sapori, corpi; sono tempi dove nell’estremo tentativo di sentirsi unici si modificano corpi, forme, si abdica all’intimo e al privato per ritrovarsi nel paradosso di una uniformità della trasgressione, della serialità di gesti unici, momenti indimenticabili, eventi storici.
Dinanzi a certezze granitiche, a cristallizzazioni ideologiche, a fanatismi di ogni genere ma anche allo smarrimento diffuso che attraversa ormai la nostra società, all’emergere di nuove forme della sofferenza e del sintomo, la psicoanalisi continua nel suo lavoro clinico a interrogare la divisione che abita ogni essere di parola; quel sapere sconosciuto resistente ad ogni assimilazione, che si muove sui confini delle passioni, delle relazioni, dell’inconscio, del sogno, della sessualità mantenendone i caratteri di enigmaticità, irriducibilità propri dell’essere umano.
Crediamo, come scrive Giancarlo Ricci, nella psicoanalisi come “un’istanza etica, uno stile intellettuale, un lavoro di civiltà … immersi nella contemporaneità”.
